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Scritto da Redazione
Cronaca
15 Aprile 2021

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Sotto i riflettori le immagini violente di qualche giorno fa, scattate a Roma nel corso della manifestazione tenuta dai ristoratori e altre categorie italiane. Scatti che, però, non rappresentano quanto accaduto. A smentire i video delle aggressioni, gli stessi organizzatori e partecipanti che sì, sono scesi in piazza, ma con il solo scopo di far sentire la loro voce. Una voce che ormai non ha quasi più la forza di squillare tanto è stanca, esausta e allo stremo. A discapito di quanto affermato da molti, quella del 13 aprile è stata una protesta del tutto autorizzata, di stampo apolitico e pacifico, anzi sarebbe più corretto dire "sarebbe dovuta essere".

Esatto, perché tutte le persone che si sono recate sul luogo con tanto di permesso, sono state bloccate senza avere la possibilità di recarsi in piazza Montecitorio. Amareggiati, tristi e delusi si sono rimessi in macchina per tornare nelle loro regioni. Tra questi, i rappresentanti di Tni Lucca e provincia che di ritorno dalla capitale, senza arrendersi, hanno deciso di fermarsi in autostrada e creare una coda lunga oltre 50 chilometri. Un simbolo di protesta colmo di significato che ha colpito nel segno facendo il giro del Paese.

"Siamo tutti imprenditori e ognuno di noi ha molto da perdere, non avremmo mai organizzato una manifestazione violenta. Ciò che abbiamo fatto è stato cercare un dialogo con chi ha il potere di porre fine all'uccisione delle categorie - afferma Stefano Vecciani, responsabile e coordinatore di Tni - Un confronto che non solo non abbiamo avuto, ma arrivati a Roma abbiamo trovato un muro e non siamo nemmeno riusciti ad arrivare sul luogo previsto. Così abbiamo attuato la protesta lungo l'autostrada, perché qualcosa andava fatto".

Le foto e i video che hanno fatto il giro d'Italia negli ultimi giorni raffigurano persone che con loro c'entravano ben poco: "Sinceramente non sappiamo nemmeno chi fossero, non erano con noi e ne abbiamo preso subito le distanze - continua Stefano - Come ho già voluto sottolineare un atteggiamento simile non è nel nostro stile, inoltre noi siamo scesi in piazza per avere risposte non per creare disagi. Siamo molto dispiaciuti del fatto che ci abbiano reso impossibile e oscurato il nostro obiettivo".

Non solo Lucca, anzi. Tutta la penisola, dalla Sicilia al Piemonte, soffre quotidianamente per le chiusure e le restrizioni. Dodici mesi di un incubo che ancora deve finire e che stando alle voci di chi, questo dramma, lo subisce sulla pelle chissà quando finirà.

"Ho 27 anni e posseggo un bar a Ronchi, in provincia di Massa Carrara. Da un anno lavoro a intermittenza e quando accade non è comunque la stessa cosa, anzi. Gli aiuti poi sono miseri e io personalmente non ne ho ricevuti - afferma Chiara, titolare de La piazzetta di Ronchi e imprenditrice scesa in piazza lunedì - Siamo arrivati a Roma con le migliori intenzioni, quelle di poter parlare con qualcuno perché così non possiamo continuare. Abbiamo trovato un muro nonostante le autorizzazioni e non abbiamo potuto fare altro che tornare indietro. Volevamo raggiungere i nostri colleghi che avevano creato una coda di protesta lungo l'autostrada, ma ci è stato reso impossibile".

La speranza e la fiducia sono ai minimi storici tra gli animi dei commercianti, dei ristoratori e di tutte le categorie colpite.

"Probabilmente a giugno riapriremo come abbiamo fatto l'anno scorso, ma noi non vogliamo il contentino. Vogliamo poter tornare a lavorare in sicurezza visto che non siamo pericolosi per nessuno e rispettiamo tutte le regole anti contagio - incalza amareggiato Andrea Piccinini del ristorante Officina del borgo a Massa - Inoltre dovremo fare i conti con una forza lavoro scarsa che andrà a pari passo con la crisi economica. Non riusciamo a comprendere perché ci stiano trattando in questo modo. Ormai è un anno che non lavoriamo e non capiamo come possa essere possibile. Fare qualcosa più avanti sarebbe inutile, di questo passo non ci sarà più niente da riaprire. Sembra che la politica non abbia più doveri, ma solo diritti e noi vogliamo che chi ci rappresenta sia portavoce di responsabilità".

Parla a nome suo, ma non solo. Andrea è solo una voce in mezzo a un mare colmo di persone che lottano per sopravvivere a un danno che non solo non si sono cercati, ma che meriterebbe di non esistere. Impossibile non fare i nomi. Nonostante ci insegnino fin dalle elementari che gli elenchi puntati non sono graditi alla lettura, questa volta no. In quest'occasione è doveroso fermarsi a leggerli uno per uno. Per capire che non stanno morendo i fondi, ma le persone. Stanno morendo tutti quei locali dove ognuno di noi ha un ricordo.

E allora: Luca di Tripoli Mojito Time, Davide de il Fornaretto, Alessandro di Amici dell'Universo, Giorgio con il suo Salotto di via Cairoli, Sergio Muraglia titolare della pizzeria pantagruele, Luigi de Il Panigaccio di Montignoso, Paola Giusti dell'osteria Petrini e ancora, spostandoci verso sud ci sono Fabio Gentili del bar Nostromo, Samantha Galano titolare Da Renzo, Monica Rossi di Tacabanda, Stefano della Locanda de Bischeri, Antonio Flaminio della pizzeria Flaminio, Ferdinando Berlingò della gelateria dolcemente, Eleonora del ristorante La conchiglia, Crispino del bar App di Massarosa, Andrea Giacalone del ristorante La Barca, Stefano Vecciani di fronte del Porto e la trattoria il Fiaschetto, Daniela di Non solo caffè, Luciano Mosti del ristorante Civico 1... e così via, "fino a esaurimento scorte"...

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